La dolce fine... Stampa

Articolo di: loris batacchio (username)
Scritto da Per. Ind. Loris Batacchio   
Sabato 28 Maggio 2016 19:03

Con la pubblicazione in G.U. della L. 89/16 si può tracciare una linea di demarcazione tra passato e futuro dei periti industriali. Ciò nel bene e nel male. Vedi testo coordinato della legge.

Il valore di questa conquista lo si scoprirà tra qualche tempo, presumo non lontano, in questo paese classista, l'Italia, troppo legato ai pezzi di carta e ai titoli accademici. In tale valore ci sarebbe anche il prezzo della stessa esistenza dei periti industriali in quanto tali. Ma, prioritariamente, meglio preservare il lavoro a chi, ormai cinquantenne o più, ce l'ha, piuttosto che farglielo perdere e creare pure altri giovani disoccupati.

Cinquant'anni circa di sistematica demolizione del sistema scolastico italiano, con particolare riguardo all'istruzione tecnica e professionale, non potevano ricevere ulteriore indifferenza ordinistica, almeno quando ora, sui diplomi rilasciati non vengono nemmeno più riportate le denominazioni di quelle professioni che nascevano proprio da tanta applicazione tecnico-pratica nello studio. E per chi lo avesse dimenticato, grazie soprattutto a: riforma Brocca e riordino Gelmini, si passò da circa 40 a circa 30 ore di studio settimanali togliendo spazio proprio a quegli insegnamenti professionalizzanti che hanno creato le competenze dei tecnici diplomati. A scopo di similitudine, volendo usare il criterio metrologico, tanto caro a certe menti accademiche e classiste, se 25 ore di studio equivalgono a 1 CFU, in un anno di un nuovo istituto tecnico si totalizzano (10 x 33)/25 = 13,2 CFU in meno rispetto a quanto prevedeva il vecchio ordinamento tecnico. In 5 anni di corso si ascende a complessivi 66 CFU, corrsipondente a più di un anno di studio IN MENO.

Tali riforme e riordini furono invocati in nome di pur malintese innovazioni, ma in realtà esse servirono esclusivamente a trarre risparmio di bilancio sulla spesa pubblica (riordino Gelmini - Tremonti del 2008) con conseguente costrizione per i giovani a dover posticipare di almeno tre anni la loro aspirazione verso un lavoro per il prolungarsi degli studi.

Allora si doveva protestare e non fu concretamente fatto nè dai sindacati della scuola, nè da quei presidenti di collegio oggi indignati, nè dagli studenti, nè dalla gente comune (noi lo scrivemmo e ci sono le prove in archivio!). Gli insegnanti, specie quelli tecnico-pratici, sono stati vittime oltre che testimoni di questo smantellamento degli istituti tecnici.

Già, dov'erano allora quei benpensanti presidenti di collegio che ora, in età da quiescenza e, spesso, senza aver fatto nella loro vita un giorno da libero professionista PERITO INDUSTRIALE, si dicono così scandalizzati da questa legge strumentalizzando una ridicola retorica qualunquista?

Quale sarebbe stata l'alternativa di categoria secondo loro? Iscrivere diplomati c.d. "gelmini" e, quindi, continuare a battere cassa per portare ossigeno fresco ai collegi pubblicizzando illussioni ai giovani? E con quale prospettiva, a parte l'arricchimento dei collegi? Una sezione "D" con competenze infinitesimali rispetto a quelle dei laureati loro colleghi dell'albo, iscritti in una sorte di "sezione C" come hanno ben pianificato certe altre categorie omologhe per ripianare i loro ben noti problemi di tesoreria?

Ho ragione di ritenere che a certi "amministratori" gliene freghi ben poco della sorte dei giovani diplomati e non, rispetto ai problemi di bilancio dei loro collegi. Spesso, non sanno nemmeno di cosa parlano tirando pure in ballo, su forum di sterili sproloqui, diplomati di altro ordinamento che c'entrano come i cavoli a merenda nella faccenda in essere.

Cosa dire poi della sorprendente arringa in parlamento dei deputati del M5S in difesa dei giovani diplomati ai quali sarebbe stato "rubato il futuro"? Sarei tentato di dire "politicamente strumentale" se non avessi una particolare simpatia per le battaglie movimentiste, ma -a giudicare dalle terminologie utilizzate da quei deputati - devo pensare a una distorsione delle informazioni loro fornite. Di periti industriali (ma anche di geometri e periti agrari) non ne escono più dagli istituti tecnici ormai da due anni. E, soprattutto, dove sarebbe l'inedito scandalo se già nel 1992 i diplomati ragionieri ottennero qualcosa di analogo e molto più limitante con la Legge 12 febbraio 1992, n. 183 ove si prevedeva un diploma universitario o una laurea quinquennale per l'accesso al loro albo? Quindi di cosa stiamo parlando?

Dunque, l'opzione - non la più idonea, ma l'UNICA possibile - è proprio quella che è stata fatta a maggioranza al congresso e portata avanti coerentemente dal CNPI con un lavoro tardivo, ma efficace, con tutti i difetti del testo emanato che non oso nascondere:

1) Per quale strana ragione il titolo di perito industriale deve spettare solo a "coloro che siano in possesso della laurea di cui all’articolo 55, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328"? E un professionista già iscritto che si trovi senza una laurea specifica cos'è? In poche parole: un laureato fresco fresco potrebbe definirsi perito industriale mentre chi è già abilitato ed esercita la professione no??? Come si spiega ciò?

2) E' un'insopportabile discriminazione rendere possibile ai diplomati di nuovo ordinamento di accedere all'albo al pari di quelli che hanno un diploma conseguito primo della riforma Gelmini per i futuri cinque anni. Tale possibilità andrebbe ristretta, proprio per forzarne un senso logico, esclusivamente agli attuali iscritti che intendono richiedere un'ulteriore specializzazione dell'albo.

Concludo con il dilemma insistemente posto da molti colleghi: "quale sarebbe poi la prospettiva a lungo termine per la categoria?"

Beh, oltre alla sua fine, io non vedo altro. Ma sarà una fine lenta e certamente meno dolorosa e dannosa di quella che si sarebbe prospettata da taluni con le non chiare alternative possibili. Insomma, una dolce fine...

Sì, una fine inesorabile , ma onorevole, in casa propria e con le proprie competenze mantenute tali per tutti gli iscritti! Per chi fa finta di non capirlo, una volta tanto si è salvaguardata la categoria e non i titoli posseduti da pochi.

Rimane solo l'ultimo tassello del mosaico d'impegni assunto dal CNPI: la formazione accademica per gli attuali iscritti sprovvisti di laurea.

E' comprensibile che le università statali attendessero un pretesto legislativo per dare attuazione ai diversi progetti avviati. Ora ce l'hanno ed attendiamo sviluppi concreti.

 

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